Nella storia dell’arte più recente l’ossessione per il vuoto e la voragine è una costante. Da Lucio Fontana e Piero Manzoni fino al più recente Anish Kapoor, l’assenza e il riempimento sono sempre stati protagonisti. Una necessità per l’arte e forse per la stessa umanità, quella di comprendere il vuoto e l’assenza e di darne un’immagine, una codifica, una misura che renda meno terrifica questa estensione.
L’idea del buco cieco ha in ingegneria un valore specifico. Indica infatti uno scavo di servizio effettuato per poter effettuare i lavori con una discreta celerità, ad esempio, nei cantieri delle linee metropolitane. Spesso questo comporta dei problemi strutturali al terreno circostante, il quale tende a franare e, per ovviare a questo, lo si blocca con materiali chimici a presa rapida che ne consentano l’auto-sostenibilità. Mentre nella materia è possibile trovare una soluzione strutturale e concreta per delimitare e in qualche modo definire il vuoto, nell’interiorità e nella spiritualità la dimensione dell’assenza ha una connotazione problematica. Quest’ultima viene affrontata sempre più nell’arte contemporanea in un’infinita gamma di modi: drammatici, ironici, iconici, iconoclasti.
La mostra, infatti, prende spunto dal concetto di “blind hole” per analizzare il modo in cui gli artisti esposti si confrontano con il vuoto spirituale. In Anatoly Osmolovsky la visione dell’icona ortodossa si trasforma in uno scavo ligneo alla ricerca di un’immagine salvifica, mentre in William Anastasi una superficie totalmente grigia diventa un’astrazione vuota, di cui resta solamente la traccia grafica. Nathan Peter, ritagliando le stelle dalla bandiera degli Stati Uniti, svuota la bandiera di qualsiasi significato e ne rimane soltanto il valore estetico. Udomsak Krisanamis e Grayson Revoir, invece, lavorano nella dimensione del dettaglio e del particolare. Revoir trivella e buca con viti e chiodi tavole o scale di legno, Krisanamis, invece, dipinge ogni centimetro della tela con pennellate asciutte al fine di coprire ogni riga e testo, e alla fine, a salvarsi sono solo gli spazi concavi delle lettere rotonde: O, B, D, 9, i buchi ciechi, insomma.