Edoardo Piermattei - Patroni

Per la sua prima mostra personale, l’artista marchigiano mette in scena il suo amore per un’arte che abbia il coraggio e l'orgoglio di dichiararsi responsabile e necessaria. Un atteggiamento che può sembrare presuntuoso in un momento storico privo di norme e certezze. Invece, provenire da un paesino medioevale delle Marche, Offagna, città natale dell’artista, non costruisce solo un dato biografico, ma un’istanza culturale che crea la sua poetica artistica di cimentarsi con forme che cercano la persistenza del tempo. Il titolo della mostra è esplicito e dichiarativo pur nella sua aulica ambiguità: Patroni. Definizione che proviene da Padre/Pater che, negli albori della Roma antica, designava una figura autorevole e protettiva, un legislatore, un avvocato che il cattolicesimo mutò nella figura del santo protettore delle città e dei mestieri. L’artista sa che i Patroni devono essere necessariamente un esempio, un modello a disposizione della comunità, una forza esemplare che non appartiene alla mutevolezza delle chiacchiere sociali, ma alla maestosa presenza degli elementi architettonici. Qualche mese fa il pubblico di Basel Hong-Kong si metteva in fila per entrare nella “Porziuncola” di Piermattei, una piccola casina ispirata alla chiesetta situata nella enorme Basilica di Santa Maria degli Angeli ad Assisi, riproducendo la stessa situazione di variazione in scala: una grande edificio che ospitava la prestigiosa fiera d’arte e una piccola “Porziuncola” nella quale meditare. Nella megalopoli globale e nella prestigiosa fiera d’arte, l’artista esponeva un piccolo edificio ispirato ad una chiesetta che venne ristrutturata nel medioevo da San Francesco da Assisi il santo patrono d’Italia, un gesto concreto e solido che stabiliva un ponte di secoli, anzi di millenni, una connessione culturale che per Piermattei è un compito dell’arte.

Anche qui, per la sua prima mostra personale, l’artista continua la sua pratica di costruire un luogo dentro un luogo e, nelle ampia sala bianca della galleria strutturata come un classico White-cube, costruisce su colonne di tubi di ferro, un ciborio medievale dal disegno essenziale e privo di decorazioni esterne. L’interno invece è dipinto con il proprio stile, simile ad una scialbatura policroma. Nelle chiese cattoliche il ciborio è un baldacchino di legno, sorretto da quattro colonne, che sovrasta l’altare dove viene officiato il rito. Diversamente, nella galleria d’arte, l’artista sostituisce l’altare e la ritualità con il pubblico che transita sotto la costruzione e deve alzare lo sguardo per ammirare l'interno, dalle pareti alla cupola. Il gesto di alzare lo sguardo, molto importante per Piermattei, è il movimento verso l’alto tipico di chi è avvezzo ad ammirare le architetture e i cicli pittorici nelle chiese. Alzare gli occhi al cielo per Piermattei è la posizione dell’artista e anche dello spettatore. Una posizione di ammirazione che vorrebbe conservare anche in un altro importante lavoro esposto nella prima mostra, come la Grande Pala d’Altare, le cui “pennellate” di cemento colorato e gesso traggono spunto dall’affresco del Baciccio: “Trionfo nel Nome di Gesù” nell’omonima chiesa a Roma. Le opere di Piermattei dialogano sempre con l’arte classica, ma viene espulsa la figurazione, cancellata e scialbata da un fitto intrico di pennellate di malte colorate che formano un arriccio policromo. Una pratica iconoclasta frutto non di una posizione teologica, ma dell’azione inesorabile del tempo che corrode e cancella. Il risultato della scialbatura del tempo è la permanenza dell’edifico, della struttura che riassume tutte le possibili caratterizzazioni personali, proprio come nei simboli che riassumono tutti i racconti. In mostra saranno installati altri dieci piccoli modelli architettonici, un compendio di tempietti e tabernacoli che, obbedendo alla loro funzione di modello ed esempio, diventano sculture che ci costringono ad abbassare lo sguardo verso di esse. Ancora una volta diventa fondamentale costringere lo sguardo verso l’opera stabilendo una relazione che non è mai paritaria. E’ sempre l’opera a richiamare a se lo sguardo dello spettatore, assumendosi la responsabilità di essere necessaria all’arte e quindi alla vita.