Potrà sembrare strano che a New York, al centro della contemporaneità più estrema, possa vivere un artista classico che realizza opere che dialogano in armonia con la cultura greco/romana, e sarà ancora più strano sottolineare come queste opere siano realizzate sia con materiali che con tecniche attualissime.
L’arte greca classica viveva di pathos, di eroi dai corpi nudi, virili e seducenti, di divinità corrucciate e di guerrieri malinconici, esattamente come nelle fotografie che Jack Pierson dedica, sin dai suoi esordi, a corpi di uomini nel fiore della giovinezza, felicemente dionisiaci di fronte allo sguardo dell’artista.
La cultura classica romana imponeva il suo dominio attraverso l’imposizione delle sue parole scolpite su tutti i palazzi, su tutti i muri, del suo vastissimo impero, esattamente come le sculture fatte di lettere e parole che Jack Pierson, inevitabilmente figlio dell’impero americano che si propaga non solo con le sue merce, ma anche, e soprattutto, con i suoi slogan. Eppure questa confidenza dell’artista, nato a Plymouth nel 1960, con la cultura classica non dipende da un’attenzione accademica, non è citazione ma vitalismo biografico: il desiderio di vedere corpi nudi belli come statue e il saper vedere il rovescio della medaglia del sogno imperiale americano.
Le famose scritte, iniziate nei primi anni novanta, sono realizzate con lettere di insegne dismesse, recuperate dalle discariche che punteggiano tutto il territorio americano: macerie di senso e di discorsi, di pubblicità e di propaganda che, dalla mano dell’artista, vengono riplasmate in evocazioni di libertà.
In mostra, Pierson espone alcune delle sue iconiche “word pieces”: una dà il titolo alla mostra, “FREE YOURSELF” e riflette sul fatto che il desiderio di liberarsi sia l’inizio di ogni libertà, un’altra opera, “IN CALIFORNA”, sottolinea in luogo ideale e utopico dov’è questa libertà ed in fine, ed infine “A FORLORN GODDESS” ci ricorda che nella potenza dell’impero e nel luccichio del glamour e delle celebrities, c’è sempre implicito il senso della tragedia.
La dimensione estetica classica sta nel saper coniugare la sconfitta con la bellezza, la speranza con la tragedia, e di farlo con naturalezza, senza sovrastrutture intellettuali, ma con la semplicità di un gesto e di uno sguardo.