“Revenge Gold” è un titolo che non vuole passare inosservato. Sono parole lapidarie che alludono alla potenza, alla seduzione e alla maledizione dell’oro. Ma sembrano anche ricordare “L’Estasi dell’Oro”, ovvero il titolo di un brano di Ennio Morricone che, per altro, conclude “Il Buono, Il Brutto e il Cattivo” di Sergio Leone. Alla fine della pellicola, si sente una potente orchestra che sottolinea il duello nel piccolo cimitero dove un bandito aveva seppellito una bara vuota piena di monete d’oro sonanti.
Forse il titolo “Revenge Gold” vuole anche sottolineare il baratro inflazionistico della moneta odierna priva di ogni sottostante aurifero? Oppure vuole, forse, ribadire che il valore dell’oro non è solo economico, ma è soprattutto spirituale, evocando pratiche di trasformazione alchemica dei propri difetti ed eliminando scorie ed impurità?
Materiale e spirituale è una dicotomia spesso insanabile, che però, è stata resa armoniosa nei millenni dall’oro: regalità, ricchezza, dono ed elevazione, ma anche corruzione e violenza.
Comunque il lato oscuro del “Revenge Gold” è evidente nell’assonanza con “Revenge Porn”, pratica scorretta ed illegale che ben illustra il malcostume del “possesso” privo di etica: l’oro racchiude in sé l’amore e i pettegolezzi, gli slanci e le maldicenze.
La pratica artistica di Cingolani, difatti, ha sempre oscillato tra la materialità del racconto, epico o grottesco che sia, e la ricerca di stasi e contemplazione. Già dagli anni Ottanta, Cingolani creò una serie di lavori dedicati a Wall Street e alla potenza economica derivata dall’accumulo di denaro e alla sua caducità stessa. Successivamente, iniziò a lavorare alla famosa serie intitolata “Interviste”, ovvero opere ispirate ad avvenimenti storici carichi di simbolicità, fino alla recente dedicata al “Pathos Formel”, nella quale un racconto, seppur misterioso, riesce a sopravvivere.
In questa nuova serie in mostra, invece, non c’è traccia di società, di comunicazione mediatica, nessuna metafora né pareidolia, bensì semplicemente la scabrosità di una superficie quasi interamente dorata che ospita una fitta trama di sovrapposizioni, permettendo l’affioramento di segni, macchie, punti, ombre, brandelli, schiacciamenti. Lo spazio della tela diventa il luogo della trasformazione della materia, un crogiolo fisico nel quale il corpo dell’artista, diviene il tramite della celebrazione dell’atto artistico, un’alchimia senza scopo e senza giustificazione sociale, se non la creazione dell’arte stessa. Il pittore si è qui prolungato nei suoi strumenti; oltre a pennelli e colori, spazzole di ferro, forchette, stracci assorbenti, coltelli seghettati usati per sovrapporre e sottrarre, fino a quando l’opera si impone nella sua chiarezza e luminosità.
L’oro -the Revenge Gold- sottopone tutti i personaggi ed i segni tipici di Cingolani a una sorta di purificazione, come nel crogiolo alchemico dove le continue sovrapposizioni eliminano ogni esercizio abituale, annullando la “dannazione mediterranea” di voler compiacere lo spettatore raccontandogli una storia: sul proprio compiacimento, il pittore, stende una mano di oro e ricomincia da capo con l’entusiasmo e l’emozione della prima volta.