"Guardavo all'arte concettuale e alle opere ambientali. Ho pensato, perché non lavorare con la scala e l'interpretazione e costruire monumenti come l'Empire State Building o la Hoover Dam? Perché non considerare la Hoover Dam come un'opera ambientale e metterla in uno studio in modo che la scala fosse modificata e allo stesso tempo risultasse anche un po' dada? Era all'avanguardia perché si trattava di ritornare alla creazione di oggetti tramite l'arte concettuale e, oserei dire, l'anarchia della tradizione, come lavorare in bronzo e modellare l'argilla. Credo si possa dire che fosse post-minimalista."
- Bryan Hunt
Biografia ed Evoluzione Artistica
Bryan Hunt (1947) si diploma con un BFA presso l'Otis Art Institute di Los Angeles nel 1971 e, l'anno successivo, partecipa al Whitney Museum of American Art Independent Study Program.
Hunt inizia la sua carriera negli anni Sessanta, un periodo segnato dall'affermazione del Minimalismo, che si sviluppa tra la Land Art, la Process Art e l'Arte Concettuale. Alla fine del decennio, tuttavia, il Minimalismo sarà messo in discussione dai cosiddetti artisti post-minimalisti.
La formazione di Hunt come architetto e, successivamente, la sua esperienza lavorativa come assistente ingegnere al Kennedy Space Center influenzarono profondamente la sua ricerca artistica. Abbandonando le idee e i principi tradizionali del mondo dell'arte, affermò che gli scultori, per creare nuove opere, avrebbero dovuto confrontarsi con le più recenti scoperte spaziali.
Questa convinzione fu ulteriormente alimentata dalla sua passione per l’esplorazione dello spazio, un interesse che influenzò in modo determinante la sua produzione artistica. Le sue sculture, infatti, riflettono la vastità e il potenziale dello spazio, sia fisico che concettuale, evocando spesso un senso di movimento e leggerezza.
Fondendo gli elementi del Post-Minimalismo con le sue esperienze personali, Hunt riuscì a creare opere che continuano a invitare gli spettatori a esplorare la fisicità dei materiali utilizzati e a scoprire nuovi concetti di spazio e forma. Le sue sculture mirano a rappresentare le infinite possibilità offerte dall’universo, mettendo in risalto la relazione che unisce luce, forma e la natura espansiva dello spazio stesso [fig. 1, 2]. Il 1974 rappresenta l’anno cruciale per Hunt, un periodo in cui il suo modus operandi riflette l’etica artistica del tempo, pur rivelando l'influenza della sua ricerca e dei suoi interessi scientifici e filosofici.
Architectural Structures
Tra il 1974 e il 1975, Hunt realizzò diverse sculture che segnarono una svolta significativa nel suo percorso artistico, ponendo solide basi per il suo lavoro negli anni successivi. Tra queste si annoverano Empire State with Hindenburg (1974), Nankow Pass (Wall of China) (1974), Tower of Babel (1974), Hoover Dam (1975), Phobos (1975) nonché la prima serie di Airships. Queste opere furono il frutto di una ricerca multidisciplinare che attraversa interdisciplinarmente arte, scienza, tecnologia e filosofia, riflettendo la visione creativa dell'artista in continua evoluzione [fig. 3, 5].
Il primo esempio della traduzione dei concetti spaziali moderni in forma scultorea è sicuramente Empire State with Hindenburg (1974) [fig. 3-5] che rappresenta una riproduzione del celebre dirigibile ancorato a una replica alta più di due metri dell'Empire State Building. Quest’opera segnò una svolta cruciale nello sviluppo artistico di Hunt, influenzando sia la sua ricerca concettuale che i progetti successivi.
L’Empire State Building e l’Hindenburg erano entrambi considerati monumentali imprese ingegneristiche all’epoca, e proprio il loro accostamento caratterizzò l’approccio innovativo di Hunt alla scultura. L’utilizzo di una scala insolita nella realizzazione dell’opera è stato particolarmente significativo: Hunt scelse di costruire una struttura che supera la portata umana, forse ispirato dall’idea greenberghiana secondo cui ogni scultura dovrebbe relazionarsi all'uomo attraverso proporzioni precise [fig. 6]. Questo approccio creava una sensazione di presenza fisica, mantenendo l’opera appena fuori dalla portata diretta dello spettatore e amplificando l'effetto di stupore.
La sfida principale per Hunt era far percepire il dirigibile come una presenza leggera e fluttuante agli occhi dello spettatore. Dopo numerose visite a negozi di modellismo, trovò i materiali adatti: costruì un dirigibile con seta e legno di balsa. Sospeso e ancorato unicamente tramite una sottile asta d’acciaio a sbalzo, che forniva il supporto necessario alla scultura, l’opera trasmetteva l’illusione di fluttuare in uno spazio privo di gravità.
L’opera Empire State with Hindenburg anticipò, sotto molti aspetti, la serie degli Airships. Queste “strutture” allungate, che richiamano l’immaginario dei dirigibili, sembrano fluttuare sospese in uno spazio indefinito, esplorando al contempo i concetti di scala e la relazione tra gli oggetti e l’ambiente circostante. Approfondendo la sua ricerca artistica con gli Airships, Hunt si collocò anche all’interno di una più ampia esplorazione dell’interazione tra arte e grandi spazi, un tema che all’epoca era alla base delle ricerche dagli artisti della Land Art, come Robert Smithson e Michael Heizer [fig. 7], anch’essi focalizzati sul rapporto tra arte, spazio e paesaggio naturale.
Hunt, infatti, non era particolarmente interessato alla ricerca rigorosa della Land Art, ma piuttosto attratto dall’idea di creare opere di scala monumentale, integrandole però nel proprio linguaggio artistico. A differenza delle forme tipiche della Land Art, scelse un approccio più scultoreo, caratterizzato da forme “compatte e classiche,” come nel caso dell’Empire State with Hindenburg, dove stabilì un dialogo tra lo spazio scultoreo su larga scala e l’ambiente circostante, utilizzando l’essere umano come misura proporzionale. Pur ispirandosi agli elementi naturali, centrali nella Land Art, Hunt ne catturò e “congelò” i movimenti, isolandoli dal contesto paesaggistico per riportarli in spazi chiusi, come gallerie e musei. Iconici sono i suoi lavori in gesso e bronzo raffiguranti cave [fig. 8], laghi [fig. 9] e cascate [fig. 10–14].
Le prime "strutture architettoniche" di Hunt, come l’ Empire State with Hindenburg (1974), furono concepite come “sculture orizzontali autoportanti”. Continuando a perfezionare queste forme, Hunt decise di semplificarle ulteriormente, trasformando le strutture in forme che suggeriscono quelle di razzi o proiettili. Questa evoluzione segnò l’inizio ufficiale di quelli che sarebbero diventati i lavori più celebri dell’artista: gli Airships. Queste opere combinano elementi architettonici e tecnologici, evocando l’esplorazione dello spazio e riflettendo sul ruolo della presenza umana nel mondo [fig. 15, 16].
Come nelle opere precedenti, gli Airships si proiettano nello spazio vuoto della stanza, fluttuando silenziosamente, apparentemente privi di peso ma calibrati con precisione sulla scala umana. Riflettono l’interesse di Hunt nel fondere la monumentalità con un’intimità legata alla percezione dello spettatore, restando fuori dalla sua portata ma in armonia con la sua presenza.
Come facevano molti artisti della metà degli anni Settanta, Hunt utilizza spesso materiali industriali o trovati casualmente, in modo simile alle ricerche di artisti come Richard Serra [fig. 17], Donald Judd [fig. 18] e John Chamberlain [fig. 19], che incorporano metalli industriali o rottami di automobili nella produzione delle loro opere.
Hunt, invece, sceglie di creare queste “architectural structures” con materiali tradizionali. Gli Airships, infatti, sono realizzati con telai in legno di balsa, rivestiti di seta, carta e foglia metallica, parte della quale viene poi ossidata [fig. 20]. La natura riflettente della foglia metallica crea una connessione visiva tra la scultura e lo spazio circostante, facendo sembrare che le opere sfidino la gravità mentre si librano sopra l’osservatore.
“Alla fine degli anni '70, Hunt ha creato gli 'Airships', opere che si estendono dal muro, sopra le nostre teste, inarrivabili ed inaccessibili. Ci sforziamo di comprendere la loro orizzontalità senza peso, la loro fragile e scintillante instabilità. Hunt ha spinto i materiali ai loro limiti, trasformando lo spazio in una galassia e bilanciando le leggi della termodinamica, della gravità e del movimento. Negli 'Airships', come in gran parte del suo lavoro successivo, Hunt trasforma l'atto di osservare in un'esperienza sorprendente, unica, quasi soprannaturale.”
-Jerry Saltz
Collocando queste sculture sulle pareti, l'artista sfida le nozioni tradizionali del rapporto tra la scultura e lo spazio espositivo, invitando gli spettatori ad interagire con l'opera da un diverso punto di vista. Non potendo rimuovere la parete, Hunt invita lo spettatore a percepire la presenza scultorea degli Airships come più dominante rispetto al muro che lo sostiene, trasformando di fatto la parete bianca in una distesa vuota, impercettibile: gli esili dirigibili di Hunt si protendono nella stanza e fluttuano silenziosamente nello spazio, apparentemente senza peso [fig. 21, 22, 23].
Proprio come ha dichiarato Hunt riguardo agli Airships: “[…] queste opere affrontando le proporzioni, l'equilibrio e la luce e riescono a trasformare la stanza, annullandone i confini. È come se ci spingessero ad avere uno sguardo dall’alto rivolto verso il basso, su noi stessi e sul nostro pianeta e allo stesso tempo uno rivolto verso l'alto come a guardare un'imbarcazione che fluttua nello spazio senza peso […]”.
Proprio perché sembra fluttuare nel vuoto, il percorso del dirigibile rimane ambiguo: potrebbe essere in avvicinamento, in partenza o in orbita, a seconda di come lo spettatore si pone nei suoi confronti. Essendo posizionato appena al di là della portata dell’osservatore, si va così a creare una distanza fisica, simile all'osservazione da terra di un dirigibile in scala reale [fig. 24, 25].
Il movimento dinamico e intenzionale delle sculture è un fattore chiave nel modo in cui queste interagiscono con lo spazio circostante. Partendo da un punto particolare della parete – la quale svolge un ruolo simile al terreno da cui si erge una statua verticale - la forma si proietta nella stanza.
Negli ultimi anni, Hunt ha sviluppato ulteriormente l’idea originale degli “Airships”, evolvendosi nella più recente serie dei “Pods”, ovvero installazioni di piccole strutture colorate e scintillanti a forma di dirigibile, montate su parete [fig. 26, 27].
I Pods evocano un senso di leggerezza e fluidità, continuando la costante ricerca dell’artista sul rapporto tra architettura, aeronautica e filosofia. La scelta di questo tema peculiare da parte di Hunt riflette la sua visione innovativa e rappresenta anche un’indagine continua sull’interazione dinamica tra forma e spazio, e su come questi influenzino l’esperienza dello spettatore.
Anche le recenti sculture su piedistallo segnano un passo successivo nella sua continua evoluzione artistica. Questa ricerca diventa particolarmente evidente nella recente serie, che include “Ceta Blues”, “Blue Venus” e “Reclining Venus”, in cui Hunt reinterpreta ancora una volta la forma del dirigibile attraverso oggetti scultorei astratti [fig. 28, 29].
Il percorso artistico di Bryan Hunt rappresenta un connubio unico di influenze ed esperienze che hanno plasmato il suo approccio distintivo alla scultura. La creazione delle sue iconiche strutture architettoniche, come le serie “Airships” e “Pods”, ha ridefinito la concezione tradizionale della scultura e del suo rapporto con lo spazio. Inoltre, la sua capacità di fondere idee astratte con materiali concreti esemplifica il desiderio di instaurare un dialogo ricco tra arte e ambiente. Continuando a spingersi oltre i confini dell’espressione scultorea, il lavoro di Hunt rimane una testimonianza del potere trasformativo dell'arte e della sua capacità di stimolare riflessioni sul nostro rapporto con ciò che ci circonda.
Bibliografia Consultata:
[1] Bryan Hunt: Skulpturen und Zeichnungen, Wilhelm-Lehmbruck-Museum der Stadt Duisburg, 1987-1988.
[2] Bryan Hunt - Early works: sculpture and drawing 1974-1980, catalogo della mostra, Orlando Museum of Art, 1992.
[3] Bryan Hunt: Sculpture + Drawings, catalogo della mostra curato da Locks Gallery. ADAA member, Philadelphia, 1998.
[4] Bryan Hunt: Twenty Years, catalogo della mostra curato da Locks Gallery, 1995.
[5] Bryan Hunt: Protean Nature, catalogo della mostra curato da Locks Gallery, Locks Art Publications, Philadelphia, 2002.
[6] Bryan Hunt: Flume, catalogo della mostra curato da Danese. Danese, New York, 2006.
[7] Bryan Hunt: Monuments and Wonders, 1974-79, catalogo della mostra curato da Locks Gallery, Locks Art Publications, Philadelphia, 2007.
[8] Bryan Hunt: Recalculating, catalogo della mostra curato da Danese. Danese, New York, 2012.